Perché I Borghi Antichi Si Spopolano? Contributo Al 101° Congresso Cai Di Francesco Quattrone (ortam Calabria)

Perché in nostri borghi antichi si spopolano? È la domanda alla quale dobbiamo rispondere per cercare di capire quali possibili soluzioni si possono trovare per bloccare lo spopolamento e cercare qualche azione per agevolare il ritorno di alcuni di quelli che sono partiti e l’arrivo di nuovi, sempre tenendo presente che è utopia pensare che tutti quelli che sono partiti rientrino in massa. Perché, allora, l’ impegno per non farli diventare fantasmi di se stessi?

Goethe, nel suo viaggio in Italia scrisse che i nostri borghi sono un prolungamento della natura, perciò rivolgendo loro la nostra attenzione ci prendiamo cura anche della montagna. Ma la sensazione di Goethe va oltre l’esigenza della cura della montagna, perché notò che i nostri borghi sono preziosi scrigni che custodiscono  il nostro patrimonio culturale che connota la nostra identità collettiva fatta di riti, saperi, mestieri  e per  le relazioni che i loro abitanti avevano con la natura circostante della quale erano attenti custodi. Basta considerare il PAESAGGIO nel suo spazio visivo che ci è  permesso cogliere e in quello che ci circonda quando lo attraversiamo, pensandolo non nel senso limitante di paesaggio naturale ma come oggetto da noi modellato e arricchito da segni materiali religiosi, artistici, culturali, che rispecchiano la nostra identità e interagiscono con l’ambiente naturale essendo da esso modellato e in esso stratificato. Una esigenza oggi più impellente se li confrontiamo con i territori virtuali che abbiamo creato dove circolano bit, fasci di luce, abitati da avatar inespressivi. Perciò la tutela e la cura del territorio permettono di conservare l’identità delle comunità locali, prima che rimangano  avvolti nella nebbia dell’omologazione.  La Francia, molto attenta alla conservazione della sua identità politico-culturale, coniò l’espressione exception culturelle per opporsi all’adozione della costituzione europea che appariva fin troppo omologante. L’ eccezione fu accolta da altre nazioni. Noi italiani sappiamo bene che l’exception culturelle-diversità culturale, nel senso di diversità di valori identitari, è una caratteristica spiccata e diversificata  dei nostri territori, non avendo avuto in Italia cultura e tradizioni unitarie: per questo motivo siamo la Patria dei campanili! Da qui la decisione dell’UNESCO di adottare una convenzione internazionale per la promozione e la protezione della diversità culturale, comprensiva di “arte, letteratura, stili di vita, diritti, valori, tradizioni, credenze” integrati con le esigenze economiche e sociali dei singoli territori. Nell’art.1, afferma che il paesaggio è “…il risultato di un’esigenza in origine sociale, economica, o religiosa, che deve la sua forma attuale alla sua associazione e correlazione con l’ambiente naturale… che rappresenta un …patrimonio intangibile in quell’insieme di prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale…” Sono considerazioni già presenti nelle menti dei nostri costituenti, molto prima che se ne accorgesse l’UNESCO, quando, nel formulare l’art.9 della nostra Costituzione, vi inserirono la parola PAESAGGIO, affidando allo Stato la competenza esclusiva di tutela, dopo un acceso dibattito culturale che durava dal 1909 per merito di Luigi Rava. Tant’è che in tempi recenti, in virtù di questo articolo, la Corte Costituzionale  ha introdotto il concetto di bene comune, della collettività, rompendo la dicotomia bene pubblico-bene privato, entrambi di carattere proprietario.

L’urbanizzazione spinta delle città, sviluppatasi lungo direttrici di veloce collegabilità, ha attirato popolazioni provenienti da borghi situati in aree montane/collinari lontane da quelle direttrici che hanno cambiato stile e cultura di vita. Il ricordo dei valori identitari dei luoghi di origine è  stato avvolto da una coltre nebbiosa, a vantaggio di una vita dinamica, ricca di comodità, divertimenti, ma anche stanchevole frenesia. Tuttavia, a testimonianza del fatto che i luoghi formano la nostra identità, rimane sempre viva, nelle persone, la nostalgia  dell’esperienza immersiva nella natura, del gusto impareggiabile di una pisciata in gruppo sotto le stelle. La nostalgia ha avuto modo dì lievitare.  Erri De Luca introduce il suo libro Napolide  con queste parole: <<Paese, ovunque io sia, per grazia visionaria dei miei sensi lo riabito al volo, intero, illeso. Il tempo lo cancella molte volte, con molte stesure, ma non dentro di me” (Erri De Luca, Napòlide, Edizioni Dante e Descartes, Napoli, 2006)

E dunque è la difesa di questa identità che bisogna difendere, custodire, conservare, tutelare e che obbliga noi soci Cai, che quei luoghi li camminiamo e attraversiamo, ad impegnarci per trovare le soluzioni  più adatte alle diverse realtà locali; le nostre sezioni dovrebbero accentuare la parte, diciamo, più culturale rispetto a quella della socialità delle nostre uscite. Porre una maggiore attenzione sulla bellezza che ci circonda, sulla meraviglia che suscita la comparsa di un prato di peonie, di un giglio rosso che sbuca dai prati, di uno scoiattolo nero che saltella tra gli alberi e legare queste straordinarie visioni alle intime relazioni che i nostri antenati hanno avuto con il nostro paesaggio e far conoscere meraviglie e sensazioni a chi si avvicina alle nostre attività. Non solo promozione della montagna ma anche formazione di una autentica coscienza ecologica e consapevolezza della ricchezza e bellezza del nostro patrimonio culturale. Stando molto attenti, però, ad evitare che la natura, almeno nei nostri borghi, diventi un luogo da valorizzare, da mettere sul mercato, fruibile dopo avere acquistato il biglietto d’ingresso, a vantaggio delle agenzie turistiche. Un pericolo reale, il cui andazzo già  si nota e sul quale gli stessi Comuni, custodi dei territori, sorvolano,  attratti dall’effimero vantaggio economico portato dai numerosi e rumorosi gruppi di visitatori che girano come in un qualsiasi quartieri di città. risulta molto facile agli operatori turistici intrufolarsi nella moda delllo sviluppo sostenibile, enibile,  facendolo diventare, di fatto, una sorta di greenwashing ambientale: ai clienti si offre il percorso, il soggiorno imbellettato con una spolverata di educazione ambientale con l’obiettivo di soddisfare la  clientela, visto che il tocco ambientale fa chic. Al termine della gita, i pullman riaccendono i motori e via, lasciando sul posto anche qualche bottiglietta di plastica! Eppure basterebbe una maggiore attenzione dei decisori politici per far sì che si rompa l’isolamento dei borghi e renderli attrattivi a chi vi si vuole stabilire: infrastrutture di telecomunicazioni, sportello postale, assistenza sanitaria quotidiana…

Si intravede solo un problema: le giovani generazioni,  cresciute e formate nei centri urbani e quelle del nuovo salto generazionale, conoscono e conosceranno il patrimonio(immateriale) dei loro nonni?

Riferimenti:

  • Tra architetture e paesaggi, tra sacralità e senso civico, di Chiara Visentin;
  • Emma A. Imparato: “Identità culturale e territorio tra Costituzione e politiche regionali”; in Accademia. eu

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