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«dai Geositi al Geoparco del Matese, una Nuova Frontiera della Tutela Ambientale»

01 Gennaio 1970 ore 09:00 - 19:00

  • Questo evento è passato.

1 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

Corso Operatore Tutela Ambiente Montano

Club Alpino Italiano Campania

anno 2021-2022

 

Partecipante al Corso: Francesco Manfredi Selvaggi

Socio della sottosezione di Boiano (Campobasso)

 

Elaborato finale

 «Dai Geositi al Geoparco del Matese, una nuova frontiera della tutela ambientale»

 

INDICE

Caratteri generali

  1. Storia
  2. La tutela: il paesaggio
  3. La tutela: la biodiversità
  4. La tutela: la natura
  5. La tutela: il geoparco
  6. Il valore antropologico
  7. Il valore percettivo
  8. Il valore paleontologico
  9. Fenomeni particolari: il carsismo
  10. Fenomeni particolari: la franosità
  11. la valorizzazione
  12. La protezione fisica

La situazione sul Matese

  1. Il quadro vincolistico nell’area matesina
  2. Il geoparco e i geositi del Matese

 

N.B.: Le immagini sono state rinvenute in internet.

 

Caratteri generali

  1. Storia

Il merito di questa, per così dire, scoperta va attribuito innanzitutto all’Unesco che nel 1995 ha iniziato un’attività di promozione di tali beni. Per l’Italia è stata l’Ispra, in collaborazione con le regioni tra le quali c’è anche il Molise, ad effettuare un censimento completo sul suolo nazionale che ha portato alla catalogazione di ben 3.500 geositi (che sta per siti geologici). (Foto 1)

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1. Morgia di Bagnoli

Per quanto riguarda l’apporto degli uffici regionali è da evidenziare che la loro autonomia nel censire le formazioni geomorfologiche è stata limitata dovendosi avere necessariamente un coordinamento nazionale, altrimenti a fatti come i circhi glaciali, vedi quello di m. Miletto, i quali sono una rarità nell’Appennino ma non nelle Alpi sarebbe stato attribuito un valore eccezionale.

  1. La tutela: il Paesaggio

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2. Morgia dei Briganti o di Pietravalle

La primogenitura del riconoscimento di valore ad aspetti particolari della geologia non spetta, almeno nel nostro Paese, all’organismo internazionale che si occupa di cultura perché la legge sulle “bellezze naturali” del ’39 già riteneva meritevoli di tutela “le cose immobili che hanno cospicui caratteri di… singolarità geologica”.  (Foto 2)

Gli episodi geologici hanno cioè valore di Bellezze Individue, una delle due categorie di cui si compone il patrimonio paesaggistico, l’altra è quella delle Bellezze d’Insieme. Le prime possono trovarsi incluse nelle seconde, cioè nei paesaggi degni di protezione, ma, comunque, conservano una propria specificità essendo oggetto di un’imposizione di vincolo specifico. I geositi non costituiscono, dunque, un nuovo campo della salvaguardia paesistica, anzi uno vecchio perché, come si è detto, fin dal 1939 le “singolarità geologiche” erano inserite nelle “bellezze individue”, specificatamente, in base al regio decreto del 1940 per il loro “interesse scientifico”. I geositi possono essere individuati come bellezze individue, ma, comunque, proprio perché individue il loro intorno paesaggistico, va sottolineata, non può essere coinvolto nel vincolo. Nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che è del 2004, sono inseriti tra i valori paesaggistici di cui tener conto nella redazione dei piani paesistici gli aspetti morfologici all’interno dei quali vi sono sicuramente le emergenze geologiche.

  1. La tutela: la Biodiversità

Un’altra misura di preservazione dei geositi è legata alla conservazione della Biodiversità di cui al programma Natura 2000. Infatti, tanti di essi, dai calanchi Manes a Morgia Schiavone alla Forra dell’Arcichiaro, rientrano nella lista dei Siti di Importanza Comunitaria. I geositi per via del loro substrato roccioso, la morgia, o per quello argilloso quando il terreno è in forte pendenza, il calanco (Foto 3),3 1 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

o per il coincidere con un corso d’acqua incassato, la forra, sono appezzamenti di terra che non sono risultati mai risorse territoriali utili per l’uomo, qualcosa da poter sfruttare, salvo che per l’industria estrattiva, e, pertanto, non sono stati alterati da attività antropiche, ad esempio le coltivazioni agricole, e ciò ha determinato che gli habitat naturali lì presenti non siano stati distrutti.

  1. La tutela: la Natura

I geositi, sempre nel nostro Stato e sempre antecedentemente all’iniziativa promossa dall’organo dell’ONU, siamo nel 1991 quando venne varata la legge quadro sui parchi, sono assimilabili agli elementi di piccola scala con valenze naturalistiche ivi contemplati. La predetta disposizione legislativa sulle aree protette sembra restringere la possibilità di sottoporre a salvaguardia la conformazione fisica della Terra solo qualora si tratti di superfici limitate.

  1. La tutela: il Geoparco

Da qualche anno si è cominciato a parlare di geositi anche per porzioni ampie di territorio ed a ciò è seguito nel dibattito sulle aree protette la proposta di poter avere parchi nei quali è insita la vasta dimensione con geositi estesi. La stessa Unesco ha riconosciuto la validità dell’iniziativa che ha portato alla formazione della Rete Europea dei Geoparchi. La SIGEA (Società Italiana per la Geologia Ambientale) ha avanzato l’idea di creazione di un geoparco pure per il Matese in quanto è un massiccio che ha caratteristiche unitarie di carsicità. L’essere un geosito grande non esclude che al suo interno vi siano geositi minori quali le doline, le cavità, l’anfiteatro formatosi a seguito della scomparsa del ghiacciaio.

  1. Il valore antropologico

I geositi e in genere le manifestazioni geologiche meritano di essere custodite anche per i rimandi culturali dei quali più di uno di loro sono carichi. Le grotte sono, da un lato, paurose essendo il nascondiglio di banditi (la Morgia dei Briganti) e, dall’altro lato, sono cariche di misticismo (la chiesetta rupestre di Busso). (Foto 4)

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4. Eremo di S. Michele a Foce

Le irregolarità dei massi pietrosi suscitano anch’esse contrastanti emozioni, tanto di terrore (l’impronta della mano del diavolo presso S. Egidio di Boiano) quanto di tipo devozionale (la “pedatella” di S. Margherita a Colledanchise, quasi un calco del piede della santa). Sulle superfici lapidee, a differenza di quanto accade sulle superfici terrose, dove il vento, la pioggia e, tanto più, le pratiche agricole possono distruggere i segni impressi dall’uomo, continuano ad essere ben visibili le incisioni rupestri, quelle tracciate sul blocco calcareo, ad esempio il blocco su cui sorge Pietracupa. Oltre alle incisioni fatte dall’uomo sulle pietre si scorgono particolari corrugazioni nelle quali la fantasia popolare ha colto, volta per volta, le immagini del piede dell’angelo (a Macchiagodena), di una santa (S. Pia a S. Biase), ecc. I nostri antenati erano suggestionati non solo dai segni misteriosi sui blocchi lapidei, ma anche dalle particolarità delle forme: si prendano i “campanarielli” di Roccamandolfi che sono delle ardite guglie, alla stregua di quelle dolomitiche. Pure quando il calcare non è nudo, cioè a vista, bensì coperto in parte da vegetazione, esso è in grado di ispirare visioni fantastiche come denuncia il nome attribuito dagli abitanti di S. Massimo di Pietra Palomba (che significa colomba) a quella gobba del rilievo montuoso che si protende sulla valle quasi volesse spiccare il volo.

  1. Il valore percettivo

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5. Rocca di Oratino

Le rocce sono elementi di interesse percettivo capaci di condizionare interi quadri visivi, mettiamo la Rocca di Oratino (Foto 5) nella media valle del Biferno o le “morge” del futuro Parco delle Morge, questa volta nel bacino del Trigno. Tra i geositi di maggiore impatto visivo vi sono i Campanarielli di Roccamandolfi, dei grandiosi torrioni lapidei, degli enormi funghi di pietra la cui visione toglie il fiato. Non succede sempre così in quanto vi sono geositi non facilmente riconoscibili se non dal geologo. In ogni caso essi sono significativi per la loro carica semantica.

  1. Il valore paleontologico

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6. Dinosauro Ciro a Pietraroja

I geositi, a volte, non hanno alcun appeal scenografico e neanche una grande visibilità costituendo dei luoghi ordinari: il caso eclatante è quello di Pietraroia, appena al di là del confine molisano dove alcuni decenni fa in un ammasso roccioso è stato trovato Ciro, un piccolo di dinosauro. (Foto 6) Questo rettile preistorico che in breve è diventato un’autentica star, è la prova che sono vissuti pure da noi. Sempre sul Matese si trovano ampi giacimenti fossiliferi che sono testimonianza di un’era geologica in cui l’Italia era sommersa dal mare. Non è solo sulla montagna matesina che si rinvengono fossili i quali si trovano in diverse parti come dimostra la presenza di conchiglie bivalve a S. Felice, al lato opposto della regione. I fossili non sono in vista in quanto racchiusi nelle pietre. Per salvaguardarli occorrerebbe vietare di rompere le rocce per portar via i reperti fossili i quali cominciano a costituire un lucroso commercio.

  1. Fenomeni particolari: il carsismo

Nel Molise vi è un ricco patrimonio geologico ipogeo, dal Pozzo della Neve, la cavità più profonda, a Cul di Bove alla grotta di Capo Quirino, tutte situate sul Matese. Esse, pur se sotterranee, paradossalmente, visibile è solo la loro imboccatura, cioè gli inghiottitoi, rivelano il carsismo di questo complesso montuoso anche se forme carsiche ve ne sono pure in superficie; a questo proposito si cita Campo dell’Arco in cui vi è uno spettacolare arco naturale in pietra scolpito dall’erosione idrica con l’acqua che dissolve il carbonato di calcio, il minerale di cui è composto il calcare. Per tale arco e del processo in corso non c’è da preoccuparsi perché se esso è destinato ad assottigliarsi ciò avverrà in tempi geologici.

  1. Fenomeni particolari: la franosità

L’immaginazione nel passato ha visto pure nei suoli in frana, oltre che nelle rocce, fenomeni ultraterreni e tra questi, seppure al confine con il Molise, si segnala il passaggio del demonio che avrebbe causato un movimento franoso a Cerreto Sannita.  Ciò dimostra che se è vero che nelle zone in frana scompare qualsiasi segno antropico, dai terrazzamenti ai muretti a secco ai sentieri, non per questo esse sono prive di qualsiasi rimando a fatti culturali. Le frane, potrebbe sembrare paradossale, in riguardo al tema della percezione sono tra le componenti più espressive del paesaggio e lo sono pure in riguardo al tema della morfologia del suolo in quanto le formazioni franose sono un attore importante del modellamento del paesaggio. Meno comuni delle frane vere e proprie, significativi segni paesaggistici sono i calanchi abbastanza diffusi specie nel medio e basso Molise.

  1. La valorizzazione

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7. Morgia di Pietracupa

Le risorse ambientali sulle quali fondare le nostre prospettive turistiche sono pressoché infinite come dimostra l’interesse recente per le emergenze geologiche, finora poco considerate. Sono varie le idee sulla valorizzazione di questo patrimonio ambientale che meritano di diventare cose concrete come il progetto di itinerari  e di visite guidate, la realizzazione di percorsi attrezzati (vi è uno che riguarda la Morgia dei Briganti), la pubblicazione di volumi scientifici o di guide turistiche (quello comprendente la catalogazione dei geositi dell’Alto Molise voluto dall’Assessorato regionale al turismo è pronto, ma non è stato ancora diffuso). Necessitano, inoltre, musei specializzati con cataloghi a stampa o su supporto informatico e operatori preparati che ti accompagnano nella visita. Vi è una raccolta museale sulla pietra a Pescopennataro, il paese degli scalpellini, una esposizione di fossili nella casa Iezza a S. Polo, comune dove vi è uno dei principali “giacimenti” fossiliferi, e un museo, assai bello, in località La Pineta a Isernia dedicato alle scoperte paleontologiche, in prossimità del sito di scavo. Contiene resti di animali ormai scomparsi, una sezione molto affascinante, e una sezione didattica che attrae tantissimo i bambini; il focus è costituito, e ciò interessa il nostro discorso, il calco del paleosuolo, qualcosa che assomiglia a un geosito. È in cantiere, poi, un provvedimento legislativo da parte della Regione riguardante il “parco delle morge” (Foto 7), gli spuntoni rocciosi posti lungo il torrente Rivo, tra Salcito e Trivento, il quale si muove nel campo della promozione di tali beni.

  1. La protezione fisica

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8. Strada romana a Boiano

La difesa di cui qui parliamo è delle emergenze geologiche in generale, un patrimonio ambientale notevole, non specificatamente dei geositi. I pericoli di distruzione più concreti li corrono non le formazioni calcaree, bensì quelle arenacee. L’arenaria, infatti, è formata da sabbia e, pertanto, è destinata a corrodersi e su questo tipo di substrato geologico sorgono alcuni centri abitati molisani, il caso più evidente è quello di Limosano. I nostri borghi sono pittoreschi sia per i caratteri architettonici dell’edificazione sia per il loro “supporto” ovvero la geologia con il quale vengono a formare un tutt’uno dal punto di vista paesistico. Quando gli interventi di consolidamento della base lapidea consistono nella realizzazione di muri in cemento armato allora sparisce una delle due componenti della visione panoramica, quella del basamento come è successo a Civitacampomarano dove il castello angioino risulta oggi sovrapposto ad opere di ingegneria strutturale. Non è solo per una questione di “vedutismo” che bisogna lasciare a vista la nuda terra, pareti o scarpate che siano, in quanto essa è rivelatrice di tante cose, a cominciare dall’evoluzione della crosta terrestre fino, succede a Boiano sul Calderari (Foto n. 8), le cui sponde sono state però cementate, al passaggio della storia con l’innalzamento nei secoli della quota del suolo urbano che all’epoca romana deve coincidere con quella del decumano scoperto alcuni decenni fa.

LA SITUAZIONE SUL MATESE

  1. Il quadro vincolistico nell’area matesina

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9. Pianoro di Campitello

Il Sempre, non per regola, bensì nei fatti, quando un’area è Area Protetta è anche area dichiarata di interesse paesaggistico. Non vi sono eccezioni in Molise e neanche il Parco del Matese lo è. Meno scontato è che un’Area Protetta sia anche un Sito di Importanza Comunitaria, ma è molto frequente che lo sia, mentre non  è altrettanto probabile il contrario; il Matese è quasi interamente coincidente con un SIC dal quale sono esclusi i lembi inferiori che, però, rientrano in una Zona a Protezione Speciale, il primo derivante da una Direttiva Habitat, la seconda dalla Direttiva Uccelli, le due Direttive europee che sono a fondamento della Rete Natura 2000. È ultimissima la proposta di riconoscimento del massiccio matesino quale Geoparco, tipologia di parco oggetto di un’ulteriore, altrettanto recente, Direttiva dell’Unione Europea.  (Foto n. 9) Vi sono, poi, i Piani di Bacino preposti alla “difesa del suolo” (è il titolo della legge che li ha introdotti nel nostro ordinamento) dal “rischio alluvioni” e dal “rischio a frana”: dei due tipi di rischi solo il secondo minaccia i monti del Matese e il Piano di Bacino del Biferno ha disposto che non vengano alterati i versanti al fine di garantirne la stabilità. Sono tante, dunque, le normative a protezione di questo comprensorio montuoso, il che renderebbe addirittura ridondante, per questo aspetto, quello della tutela, il parco. Si tratta tutte di disposizioni di scala ampia che hanno bisogno di tradursi in regole operative per essere applicabili speditamente sul territorio. Per spiegarci meglio, nel SIC per qualsiasi intervento da realizzarsi è richiesta una Valutazione d’Incidenza, negli ambiti vincolati paesaggisticamente il progetto di una qualunque opera deve acquisire l’Autorizzazione da parte degli organi preposti, non è sufficiente la rispondenza ad uno dei 2 Piani Paesistici matesini, nelle fasce a rischio idrogeologico la progettazione di un manufatto o l’esecuzione di lavori  è soggetta al Parere dell’Autorità di Bacino e a quelli elencati si aggiunge il Nulla Osta dell’Ente Parco. Sottoponendo le previsioni dello strumento urbanistico a ciascuno degli adempimenti elencati sopra, cioè alla valutazione d’Incidenza, all’assenso paesaggistico di massima (che riguarderà il planovolumetrico e non, ovviamente, la singola opera), al Parere idrogeologico, al N.O. del Parco si semplificherà la fase successiva, quella realizzativa, delle specifiche costruzioni. Cosa non da poco dato che semplificazione è diventata una parola d’ordine primaria, un’esigenza che ha difficoltà ad essere soddisfatta se i Comuni non si doteranno di Piani Regolatori Generali invece che di Programmi di Fabbricazione. I PdF sono i piani più diffusi specie nelle realtà comunali minori, i cosiddetti Piccoli Comuni che sono quelli con meno di 5.000 abitanti (la taglia usuale degli insediamenti appenninici). Così, puntualmente si verifica nel comprensorio matesino dove solamente Boiano, l’unico centro al di sopra di tale soglia demografica, è munito di PRG. Peraltro, lo si dice per inciso, è già tanto che ci sia un PdF in tutti i Municipi, non è scontato qui da noi o almeno non era scontato fino ad un paio di decenni fa quando, finalmente, Roccamandolfi non riuscì a varare il suo. La differenza tra PdF e PRG è che il primo si occupa esclusivamente dell’agglomerato abitativo tralasciando la campagna e, quindi, gli spazi naturali e seminaturali, i quali ultimi sono la componente maggioritaria che maggiormente influenza l’assetto ambientale dell’Appennino, e, quindi, (ancora) gli areali dei SIC o, esclusivamente, degli Habitat che sono al loro interno. Non basta, ad ogni modo, un PRG perché occorre anche che vi siano i Piani Particolareggiati, specialmente quello riguardante il centro storico perché (ancora) la pregevolezza di un parco appenninico come è quello del Matese è dovuta pure alla bellezza dei borghi tradizionali che ne costellano l’ambito. Si è parlato di ridondanza e di semplificazione e le due cose non vanno, di certo, bene insieme. Per semplificare i passaggi amministrativi imposti per la costruzione di una struttura non basta agire a valle attraverso la formazione dei Piani Regolatori, ma è anche necessario adoperarsi a monte, molto a monte, al livello legislativo. La L. 394 che è del 1991 non poteva presupporre che successivamente sarebbe sopravvenuta nel suo stesso settore d’interesse, il naturalistico, il programma Natura 2000 (Foto n. 10): il suo lancio che in Italia è avvenuto con un Decreto del ’97, al fine di evitare sovrapposizioni, avrebbe dovuto portare ad una riforma della legge nazionale sui parchi la quale, a tutt’oggi, non si è avuta. Sono le norme italiane sulle Aree Protette a doversi adeguare e non il viceversa, nonostante siano precedenti,

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10. Campo dell’Arco

perché la Direttiva europea è, come è ben risaputo, sovraordinata (ancora sovra-). Si occupano entrambe di natura e però con impronte diverse: i nostri parchi nazionali, nascono per salvaguardare l’orso, il PNdA, e lo stambecco, il Parco del Gran Paradiso, la fauna costituendo un po’ il marchio d’origine, mentre la Rete Natura 2000 si occupa degli habitat in cui gli animali selvatici vivono. Sono evidentemente complementari e ciò permetterebbe una organica fusione. Le differenti accentuazioni rimarrebbero salve non essendo incompatibili con la difesa dei biotopi, la mission di Natura 2000, i progetti di conservazione di specie in pericolo di estinzione, tipo Ursus Arctus, per l’Orso Marsicano, oppure la si cita seppure si è ormai conclusa, l’Operazione S. Francesco attuata dal WWF sull’Appennino centro-meridionale il quale comprende il Matese, per salvare il lupo, specie faunistica che in quel periodo, eravamo negli anni ’70, si era ridotta ad un limitato numero di esemplari. Probabilmente più che di una revisione della 394 è sufficiente un aggiornamento, ma in ogni caso qualcosa bisogna rivedere, non i principi ispiratori che restano validi, bensì alcuni aspetti gestionali quale quello della gestione dei Piani di Gestione degli Habitat da affidare all’Ente Parco (il che non significa far gravare sulla sua Contabilità ulteriori  incombenze economiche, perché la Direttiva europea che ha varato la Rete Natura 2000 ha stabilito che i fondi per tale fine vanno ritrovati in Capitoli di Spesa attinenti alle molteplici azioni da compiere di carattere gestionale presenti nei Bilanci regionali (Molise e Campania), non uno specifico stanziamento per capirci). Ne trae un vantaggio, dunque, da questa unione Natura 2000 la quale restituisce al parco una mole di informazioni di dettaglio sulle caratteristiche vegetazionali dell’area (il Corine) (Foto n. 11). Ci si è soffermati su Natura 2000, ma sinergie fruttuose per l’ambiente si possono ricavare anche tra Parchi e Piani di Bacino e tra Parchi e Piani Paesistici nella convinzione che per proteggere efficacemente l’ecosistema occorre ampliare il fronte della tutela e così sarà; quando sarà; pure con il Geoparco.

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11. Circo Glaciale di m. Miletto
  1. Il geoparco e i geositi del Matese

Il Parco del Matese è destinato prima o poi, ad essere riconosciuto quale Geoparco, uno speciale riconoscimento attribuito dall’Unesco a quelle aree, protette o meno secondo le normative nazionali sulle “aree protette”, che presentano notevoli valenze geologiche. Il Matese può aspirare a diventare Geoparco perché al suo interno vi sono numerosi Geositi: questi ultimi censiti dalla Regione (stiamo parlando del Molise) sono elementi, per lo più “puntuali”, di particolare valore, morfologico, stratigrafico, ecc. in riguardo alle scienze della terra. Un’operazione preliminare nella descrizione dei geositi è quella di riunirli in gruppi i quali, per quanto concerne il comprensorio matesino dove l’assetto del suolo non registra influenze vulcaniche né marine, sono tre: quello dei siti dovuti al glacialismo, quello delle emergenze geologiche legate all’azione fluviale, queste sì di tipo “lineare”, e quello delle manifestazioni del carsismo (Foto n. 12), il quale è il fenomeno caratterizzante del nostro massiccio montuoso e, pertanto, di natura “areale”. Vi sono anche altre possibili distinzioni fra i geositi che si elencano per completezza di discorso e alle quali, però si rinunzierà di far ricorso, per sinteticità di, nuovamente, discorso. Esse sono tre: la prima è fra i geositi in cui il processo di formazione è ancora in corso, prendi le doline, conche circolari, in cui progressivamente si arriva allo sprofondamento del terreno il quale assume la forma di un cono con al centro l’inghiottitoio, e quelli dove la morfogenesi si è arrestata (l’arco di Campo dell’Arco, ad esempio), rispetti veramente forme attive e inattive;

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12. Grotta del Fumo

la seconda è conseguenza della prima, quindi fra geositi di origine più recente, ancora gli inghiottitoi, almeno alcuni e quelli di fasi geologiche remote come i circhi glaciali che risalgono all’era, appunto, glaciale; la terza è relativa ai fattori che hanno determinato la costituzione del geosito, se endogeni (ancora la dolina che è una piegatura cuneiforme, se così si può dire, della crosta terrestre a causa di una attività interna alla stessa che è il dissolvimento del carbonato di calcio nel Matese il suo essenziale componente, a contatto con l’acqua di cui è imbibita) o se esogeni (mettiamo l’azione sismica che ha provocato il rotolamento delle Pietre Cadute a Boiano, alle pendici del Matese tra le quali rientra Donna Mira, una sorta di grosso masso erratico, palestra di arrampicata). Terminata questa rassegna delle categorie in cui iscrivere i geositi, procediamo con l’analisi dei medesimi sulla base di quei parametri, i 3 gruppi, indicati quali prioritari. Per quanto riguarda il glacialismo abbiamo il circo glaciale, una depressione semicircolare (che da il nome alla seggiovia Anfiteatro che qui smonta) appena sotto la cima di monte Miletto delimitata, vedendola dal basso (da Campitello) da ripide pareti rocciose le quali, viste dall’alto, cioè dalla linea di cresta appaiono quali strapiombi verticali, cosa che conferisce alla sommità di tale rilievo, il maggiore dell’Appennino centro-meridionale, i caratteri di una vetta alpina , più che appenninica, Parlando, ora, dei geositi fluviali il pensiero va al corso del Quirino, quel corpo idrico che separa il Mutria dal blocco centrale del Matese, la cui vallata prende avvio dalla Sella del Perrone; esso è l’unico valico della catena montuosa il quale, va notato, unisce e non divide, non solo le due porzioni del complesso, davvero complesso, montano matesino, ma pure i due versanti contrapposti il molisano e il campano anche per i quali costituisce un punto di incontro piuttosto che di separazione con le correnti d’aria provenienti dai due mari opposti che si mescolano fra loro. La valle del Quirino che chiamiamo così per la orografia svasata, ma che è difficile definire tale data l’assenza di rivi affluenti, è una sorta di imbuto dove si convoglia gran parte dell’acqua proveniente dai fianchi dei monti per poi confluire nella rettilinea Gola del Quirino, il tubo finale dell’imbuto, il geosito in questione. (Foto n. 13)

13 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

13. Gola di Arcichiaro

Se questo è il geosito fluviale più grande, un canalone, all’estremo opposto vi sono i canali, canalini diminutivo di canali che localmente si denominano rave, per cui ravarelle, Lavarelle a Campitello a causa di una traslitterazione di epoca moderna. Essi sono delle incisioni diritte sui pendii montani o collinari nei quali scorre l’acqua solo stagionalmente e non hanno un nome proprio salvo che nei casi della Rava di Pozzilli e della Rava di Miranda. È tempo di passare, per completare il quadro ai geositi carsici sui quali ci soffermeremo brevemente avendo già accennato agli inghiottitoi, la principale emergenza della carsicità. Se questi si sviluppano in verticale vi sono le grotte che, al contrario, penetrano nel sottosuolo in senso orizzontale; di entrambi è visibile, è ovvio, dall’esterno solamente l’entrata, spettacolare quella del Pozzo della Neve la quale ricorda la bocca di un vulcano, mentre l’ingresso della Grotta del Fumo è offuscato, per l’appunto, dal fumo, l’umidità fuoriuscente dall’antro. Si ha fretta, lo si sarà notato, di concludere questa parte della dissertazione per lasciare spazio nell’economia del discorso, sempre lui, ad ulteriori letture.

14 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

14. Grotta delle Ciaole

I geositi, oltre alle suddivisioni proposte in precedenza, è possibile classificarli a seconda dell’interesse, se scientifico, se culturale, se naturalistico, se paesaggistico. Per gli scienziati, i paleontologi, hanno un eccezionale valore i fossili diffusi un po’ ovunque, di qui il geoparco, i calcari a rudiste che si ritrovano a quote elevate per i moti di sollevamento che hanno portato terreni marini (barriera corallina?) a 2000 m.s.l.m.; per i naturalisti è significativa la Grotta delle Ciaole (Foto n. 14), cornacchie, in quanto habitat di questa particolare specie di uccelli che amano quale rifugio, come i pipistrelli, le cavità; per gli antropologi segni davvero significativi, aggettivo che rafforza il sostantivo, sono le pietre dalle forme bizzarre tipo l’Arca di Pane nel Fondacone, un masso a “culla” in cui l’acqua si accumula d’inverno e d’estate vi si abbeverano le greggi; per i cultori del paesaggio sono attraenti, da ammirare, le guglie “dolomitiche” dei Campanarielli (Foto n. 15) e, viceversa, i luoghi, Pietra Palomba, da cui ammirare i panorami. Per concludere, non lo si è detto all’inizio e lo si dice adesso, alla fine, il Matese è geoparco, qualcosa di territoriale, anche perché i geositi sono disseminati in tutta la sua superficie e non concentrati in pochi luoghi.

15 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

 

 

15. Campanarielli

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Data:
01 Gennaio 1970
Ora:
09:00 - 19:00