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Vorrei un Mondo Bio…felice

13 Giugno 2022 ore 09:00 - 14 Giugno 2022 ore 19:00

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1 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

 

 

  VORREI UN MONDO BIO…FELICE

LA BIODIVERSITA’

RIPORTIAMO i GIGLI A SANTA RESTITUTA

ANNA GAUDIOSO | 2° CORSO ORTAM 2022 | 4/5 GIUGNO 2022

1 1 - CAI Tutela Ambiente Montano Campania

 

RIPORTIAMO I GLIGLI A SANTA RESTITUTA

PREMESSA

Il suo profumo intenso lo si sente aleggiare soprattutto nelle notti d’estate senza vento lungo i litorali del Sud Italia, ma non è inconsueto vederne spuntare le bianche corolle anche tra le dune costiere del centro-nord. È il giglio di mare (Pancratium maritimum), una presenza naturale che impreziosisce le spiagge del Mediterraneo, spingendosi fino a quelle del Portogallo, delle Isole Canarie, del Marocco e, a Est, fino al Mar Nero. Questo fiore è il khavatseletha-Khol, il fiore che cresce nella Pianura di Sharon, menzionato nel meraviglioso Cantico dei Cantici. La leggenda lo vuole nato dal latte di Hera, la regina degli dei, sfuggito al suo seno quando il piccolo Eracle lo morse nella foga di succhiare, provocando con quello schizzo la nascita della Via Lattea in cielo e del giglio di mare sulla terra. Il Pancratium dal greco pan, “tutto” e cratys, “potente”, chiara allusione a supposte virtù medicinali, partecipa dunque alla poesia di cui l’uomo seppe ammantare gli eventi della propria vita e del mondo naturale, poesia che ritroviamo anche nel ciclo biologico dei suoi leggerissimi semi che, sparsi solitamente dal vento, riescono anche a galleggiare sull’acqua e a disperdersi grazie alle correnti, viaggiando in mare fino a raggiungere nuove spiagge da colonizzare.

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Il Giglio di mare appartiene alla famiglia delle Amarillidaceae, e come tutte le specie di questa famiglia nella stagione sfavorevole trascorrono un periodo di riposo completo perdendo tutta la loro porzione fuori terra, fusto e foglie, così da sparire completamente alla vista e resistere alle temperature ed alle azioni aggressive invernali. Si tratta di una pianta monocotiledone; cioè che al germogliare del seme sviluppano una sola fogliolina, da qui mono-cotiledone.

La pianta all’esterno assume forma di “cespo” che si allarga orizzontalmente, mentre sotto la superficie sabbiosa presenta un bulbo sotterraneo che produce bulbilli, attraverso i quali si riproduce per via vegetativa.

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Il fiore è una meraviglia della natura, bianco e con una forma dei petali che ricorda le bellissime orchidee. Si tratta di un fiore “ermafrodita” con impollinazione entomofila (a mezzo di insetti) produce una capsula contenente molti semi di colore nero. Il vero seme è situato all’interno di una massa sugherosa e leggerissima, che permette il galleggiamento del seme come avesse un salvagente. Le onde delle mareggiate che raggiungono le dune raccolgono i semi dispersi tutt’intorno dalla pianta e li disseminano, grazie alle correnti, in altri punti della costa, anche lontanissimi, favorendo la disseminazione in nuovi territori. È per questo che tale disseminazione, molto particolare come mezzo utilizzato, la navigazione, è chiamata “idrocora”. È una formula adottata da questa ed altre poche specie, tra cui la più famosa è la disseminazione delle noci di cocco attraverso il mare che consente alle piante di distribuirsi tra molte isole.

Pianta geofita psammofila, provvista di grossi bulbi e lunghe radici in grado di raggiungere la falda freatica. Le foglie sono nastriformi lunghe 30-40 cm, di un verde glauco, molto flessibili ben adatte all’ambiente arido e ventoso delle sabbie. Lo scapo fiorale, alto da 20 a 50 cm, porta da 3 a 10 fiori grandi, bianchi, molto appariscenti, intensamente profumati dopo il tramonto.

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Com’è facile intuire, il giglio di mare cresce bene in zone piuttosto calde e soleggiate, in terreni sabbiosi e ben drenati. Non teme lunghi periodi di siccità, anzi, per fiorire rigoglioso ha bisogno di stagioni estive molto aride, con temperature superiori ai 27 °C. Nelle zone costiere più fresche, difatti, la fioritura tende ad essere minore. In inverno, la vegetazione dissecca completamente, ma il bulbo sotterraneo riesce a sopravvivere in quiescenza anche a temperature al di sotto degli 0°C.

Come coltivare il giglio di mare

Per coltivare il giglio di mare c’è dunque bisogno di un terreno sabbioso e capace di drenare perfettamente l’acqua. In altri tipi di terreno la sua sopravvivenza è difficile.
La posizione deve essere in pieno sole e, come abbiamo visto, le temperature invernali non sono un limite.

Semina

Per avviare la coltivazione, la cosa più semplice è partire dal seme, non facilissimo da trovare, ma comunque reperibile nei negozi specializzati. La semina si effettua a inizio primavera, ponendo il seme un paio di cm al di sotto del terreno. Conviene seminare direttamente in loco, nella sede definitiva, in quanto non ama i trapianti. Fino al germogliamento del seme occorre irrigare a pioggia, mantenendo il substrato abbastanza umido, ma mai zuppo d’acqua.
E’ opportuno lasciare sufficiente spazio tra un seme e l’altro (almeno 50 cm) in quanto la pianta, in seguito, avrà uno sviluppo rigoglioso.

Cure colturali

Il giglio di mare, una volta attecchito, è estremamente rustico. Non ha bisogno di irrigazioni e concimazioni, l’unica operazione per mantenere in salute la pianta è periodica sarchiatura.

Fioritura

Dal momento della semina alle prime fioriture trascorre molto tempo, almeno 5-6 anni. Una lunga attesa per avere questi stupendi sulle nostre spiagge.

Moltiplicazione agamica

È possibile ottenere nuove piante di giglio di mare separando i bulbilli che si formano intorno al bulbo della pianta madre. Questo tipo di operazione si esegue quando le piante entrano nel periodo di dormienza, ovvero in autunno-inverno. Attenzione però a non danneggiare il bulbo madre, in quanto potrebbe facilmente perire. Sia il bulbo madre che i bulbilli devono essere ripiantati subito nel terreno dopo la divisione.
I bulbi dovranno essere interrati a una profondità pari a 3-4 volte la loro lunghezza. Partendo dal bulbillo, servono 3-4 anni per vedere i primi fiori.

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Essa è specie protetta in molte regioni italiane ma non in Campania dove pur essendo presente presso alcuni litorali del Cilento, anno dopo anno conta un numero sempre minore di esemplari che arrivano alla fioritura. Un “omaggio” evidentemente poco gradito da alcune amministrazioni comunali che, ottusamente omissive rispetto alla salvaguardia di questa rarità botanica, oltre che in aperto conflitto con le normative in materia, dispongono ogni estate un indiscriminato livellamento delle spiagge a colpi di mezzi meccanici.

Esattamente quello che è successo da noi a Ischia sul finire degli anni ’80 quando abbiamo perso, speriamo non per sempre, gli ultimi esemplari di Pancratium Maritimum L., ovvero “Giglio di Santa Restituta”, causa di uno scellerato ripascimento della spiaggia di San Montano.

Il Pancratium maritimum L. occupa un ruolo molto importante poiché con la sua presenza sugli arenili favorisce gli accumuli di sabbia che viene rimossa dall’azione del vento, e quindi partecipa alla formazione di piccole dune. Il primo studioso a interessarsi a questa specie, fu il botanico italiano Andrea Cesalpino nel 1583. Più tardi, nel 1834, per quanto riguarda l’isola d’Ischia, veniva segnalata solo genericamente la presenza “sulle arene marine” da Giacomo Stefano Chevalley de Rivaz. Nel 1854 Giovanni Gussone fu più preciso e ne segnalò la presenza sempre sulle arene marine di Lacco, alla marina di San Montano, a Forio, alla marina di Citara, ed infine alla marina di S. Angelo. Attualmente questa specie, in quasi tutto il suo areale di distribuzione lungo le coste del Mediterraneo, è in regressione, seriamente compromessa a causa della forte antropizzazione e dello sfruttamento intensivo dei litorali sabbiosi e, come abbiamo già detto, sull’Isola d’Ischia non fiorisce ormai da decenni.

Narra un’antica leggenda che un giorno molto lontano nel tempo, spinta dal vento e dalle correnti marine, proveniente dall’Africa giunse nella baia di San Montano una piccola barca che conteneva il corpo senza vita della giovane martire Santa Restituta. E quando la barca toccò la spiaggia per miracolo questa si riempì di gigli bianchi: i gigli di Santa Restituta.

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La solennità liturgica cade il 17 maggio, ma la sera del 16 maggio, sulla sabbia della baia di San Montano, si dà vita alla Rappresentazione del martirio della Santa.

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La sabbia viene adornata con numerosi gigli e fiori a ricordo di questa antica leggenda. La festa è organizzata dall’Associazione “Le Ripe” con la partecipazione, potremmo dire, di tutto il popolo lacchese ed isolano (la Santa è la patrona dell’isola insieme a San Giovan Giuseppe della Croce), con la rievocazione storica della sua passione e morte con “l’incendio della barca” e l’arrivo di questa, sospinta dallo “Scirocco di Santa Restituta” che immancabilmente e potremmo dire quasi miracolosamente, spira in quella serata sulla spiaggia. Questa rappresentazione si tiene dal 1968 a Lacco Ameno e nasce da un’intuizione dell’allora rettore del Santuario, il can. Don Pietro Monti. Prima di allora la sera del 16 maggio si teneva solamente una Processione del Ss.mo Sacramento ma poi soprattutto con l’arrivo di un maggior numero di turisti si pensò di teatralizzare l’evento, prima solo dello sbarco della Santa a S. Montano e poi in seguito, della sua Passio insieme ai suoi compagni, i martiri di “Abitene”.

(Durante la decima persecuzione anticristiana, ordinata dall’imperatore Diocleziano nel 304, un folto numero di cristiani, (49) provenienti anche dalle vicine città di Cartagine e Biserta, continuarono a radunarsi nella città di Abitina in casa di Ottavio Felice, per celebrarvi il rito eucaristico, detto Dominicum sotto la guida del Presbitero Saturnino.

I partecipanti al Dominicum, quasi tutti giovani vennero arrestati dai soldati romani e trasportati a Cartagine alla presenza del console Anulino, il 12 febbraio 304 d.C. subirono l ‘interrogatorio e nonostante le torture confermarono la loro fede, così vennero condannati tutti a morte. La storia dei Martiri Abitinesi ci viene raccontata nella “Passio SS Daivi Saturniniet aliorum” redatta da Pio  Franchi dei Cavalieri.
Lacco Ameno anche e soprattutto grazie a Santa Restituta può essere considerata la “culla del cristianesimo” sulla nostra isola. La Santa fu sepolta in un Santuario dedicato ad Ercole che divenne poi Basilica Paleocristiana; il ritrovamento di un battistero in cui si amministrava il Sacramento del Battesimo per immersione conferma la grande vitalità di quella prima comunità cristiana che si ritrovava anche attorno al corpo dei martiri e, nel nostro caso, di Santa Restituta. Ad inizio 900 a causa delle invasioni e delle scorribande degli arabi che facevano razzia di tutto quanto trovavano, in modo particolare delle reliquie dei Santi, le ossa di Santa Restituta furono trasferite a Napoli dove si trovano tutt’ora, nel Duomo di S. Gennaro. Infatti il sito antico prima della costruzione del Duomo presentava una basilica dedicata a S. Restituta risalente al IV secolo d.C.   un battistero dedicato a S. Giovanni in Fonte e un’altra basilica dedicata a S. Stefania. I primi due edifici sono stati inglobati nel progetto del Duomo mentre la basilica di S. Stefania è stata abbattuta.
L’amore e la devozione per questa Santa, patrona dell’intera isola d’Ischia, si perdono nella notte dei tempi; nel corso degli anni, nel suo Santuario lacchese sono state lasciate diverse testimonianze attraverso gli ex voto offerti dai fedeli. Molti sono modelli ripetuti nella forma, ma alcuni, realizzati con materiale molto semplice come la paglia di grano, rappresentano delle opere uniche ed irripetibili.

La diffusione del culto di santa Restituta in Italia ed Europa meridionale è storicamente legata alla persecuzione vandalica del 429 in Nord Africa, ordinata dal re Genserico e descritta nelle pagine di Vittore di Vita. Nei vari luoghi dove trovarono rifugio gli esuli cartaginesi, ebbe origine la devozione alla martire africana: LaccoAmeno (Ischia),NapoliCagliariPalermoCalenzana (CorsicaFranciaMontalcino ed Oricola.

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Potete immaginare quindi quale importanza ha per gli ischitani, e soprattutto per i lacchesi, il Giglio di Santa Restituta e quale gioia sarebbe poter annoverare il Pancratium Maritimum di nuovo tra la sua flora endemica.

Quello che ci proponiamo è:

1) Conservazione del patrimonio delle specie e degli ecosistemi presenti attraverso l’ottenimento dello status di pecie protetta da parte della Regione Campania del Pancratium Maritimum.

2) Difesa e recupero di specie minacciate tentando la reintroduzione del Giglio in questione a Ischia auspicando il coinvolgimento delle Amministrazioni Comunali.

Obiettivi che potrebbero essere ottenuti promuovendo azioni e sensibilizzando gli enti preposti (Orto Botanico di Napoli, Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania) affinché il Pancratium Maritimum sia incluso nell’elenco di cui allegato 1 della Legge della Regione Campania del 25 aprile 1994 n.40 dove sono annoverate le “entità rare perché endemiche italiane, ad areale ristretto o in quanto sporadiche all’ interno di areale abbastanza esteso o comunque minacciate di estinzione o in via di scomparsa”. (mail, petizioni on line, coinvolgimento dei media e di altre associazioni).

Infatti detta legge tutela la flora endemica e rara e l’elenco può essere aggiornato dall’Assessore all’Agricoltura sentito il parere dei Botanici degli Atenei campani e del Direttore dell’Orto Botanico (art.1). Detto articolo fa anche divieto di “asportare, detenere, commerciare, piante, parti di piante e semi delle specie di cui in allegato 1.

All’articolo 2 la legge sancisce ancora che L’orto Botanico è autorizzato a realizzare per conto della regione una banca sei semi e una coltivazione sperimentale onde consentire eventuali ripopolamenti. Infine l’articolo 7 stabilisce le sanzioni amministrative da lire 100.000 a 1.000.000 di lire.

Il riconoscimento del Pancratium Maritimum come specie protetta sarebbe un forte segnale di sensibilità verso le tematiche ambientaliste da parte dell’amministrazione regionale campana. Lazio, Calabria, Basilicata e Molise lo hanno già fatto.

In assenza di interventi da parte della Regione volti a tutelare il Giglio marino i comuni possono comunque prendere iniziative e porre in essere azioni finalizzate alla sua tutela. Dal momento in Campania e in altre regioni italiane non è specie protetta, cosa che nella fattispecie gioca a nostro vantaggio, i suoi semi possono essere commercializzati, infatti sono reperibili on line presso diversi rivenditori e possono essere acquistati. Il Comune di Barano D’Ischia in questo momento è impegnato nella messa in sicurezza dei costoni della cava di Olmitello presso la spiaggia dei Maronti a breve anche l’alvo del torrentello che si origina dalla sorgente sarà ripulito, si potrebbero in questo frangente individuare delle aree (aiuole, brevi tratti) dove poter piantumare il nostro giglio. Le aree interessate sarebbero delimitate con paletti e corda, con l’apposizione di cartelli informativi e verrebbero definiti eventuali corridoi protetti di attraversamento. Anche gli altri comuni isolani potrebbero unirsi all’esperimento, per evitare che del bellissimo giglio di Santa Restituta resti solo legenda e per permettere agli ischitani di farne omaggio alla Santa.

Gli abitanti dell’isola d’Ischia hanno la fortuna e l’onore di avere sul proprio territorio una flora spontanea eccezionale, ricca di specie di notevole interesse scientifico (invidiata in tutta Europa) ma devono avere anche l’onere di mantenerla e conservarla il più possibile intatta, per trasmetterla, così come l’hanno ereditata, ai loro figli e alle popolazioni future.

 

Dettagli

Inizio:
13 Giugno 2022 ore 09:00
Fine:
14 Giugno 2022 ore 19:00