Affrontare un lutto o un trauma significa dare spazio al dolore, senza esserne travolti. La psicoterapia può essere un aiuto prezioso per ritrovare un equilibrio, elaborare emozioni bloccate e comprendere cosa serve davvero per andare avanti.
Anche la condivisione delle storie, i rituali simbolici, o il semplice stare in natura possono avere un effetto rigenerante. La montagna, con la sua lentezza e il suo silenzio, può diventare uno spazio di ascolto e riconnessione. Elaborare non significa dimenticare, ma integrare la perdita nella propria vita, trovando un modo personale di continuare il legame con chi non c’è più.
Il valore del racconto e della condivisione
Raccontare è una forma di cura. Mettere in parole la propria esperienza permette di organizzare il caos del dolore, di dare un contorno a ciò che sembra indefinito. Il racconto può avvenire in molti modi: parlando, scrivendo, disegnando, registrando la propria voce o condividendo un ricordo.
Ogni volta che si racconta, si rielabora l’esperienza da un punto di vista diverso, si restituisce alla mente la possibilità di collocarla nel tempo e nello spazio. Anche ascoltare la storia di un’altra persona può avere un effetto trasformativo: ci ricorda che il dolore non è solo nostro e che la condivisione è una forma di appartenenza.
Nella comunità alpinistica, il racconto ha un valore particolare: trasmette memoria, legami, e senso di continuità, anche di fronte alla perdita.
Attività e rituali simbolici per elaborare la perdita
I rituali non cancellano il dolore, ma aiutano a dargli forma. Compiere un gesto simbolico (come accendere una candela, scrivere una lettera, dedicare una salita, piantare un albero, lasciare un oggetto in un luogo significativo) può trasformare l’assenza in presenza, creare uno spazio per la memoria e la gratitudine. Non esistono rituali “giusti”: l’importante è che siano coerenti con il proprio sentire. Possono essere privati o condivisi, solenni o semplici, ma tutti hanno lo stesso scopo: riconoscere ciò che è accaduto e restituire continuità alla relazione con chi non c’è più.
La montagna stessa, con i suoi ritmi e i suoi silenzi, può diventare un luogo rituale: un modo per tornare, passo dopo passo, a respirare nella vita.

La natura e la montagna come contesto di guarigione
La natura ha una forza rigenerante profonda. Il contatto con gli elementi, l’aria, la pietra, il vento, la neve, può aiutare a ricollegarsi al corpo, al respiro e al presente. In montagna, molte persone trovano uno spazio dove poter stare in silenzio, osservare, muoversi lentamente: condizioni che favoriscono la calma e la consapevolezza.
Non si tratta di “trovare conforto” nella montagna come rifugio ideale, ma di riconoscere che l’esperienza della natura permette al dolore di respirare. In certi momenti, la montagna può diventare un luogo di meditazione e accoglienza; in altri, può riattivare emozioni difficili. In entrambi i casi, ascoltarsi e rispettare i propri limiti è il modo più autentico di restare in relazione con essa.
La differenza tra “andare avanti” e “dimenticare”
Molte persone, dopo una perdita, sentono la pressione sociale a “riprendersi” o “voltare pagina”. Ma elaborare il lutto non significa dimenticare: significa trovare un modo nuovo di vivere con la memoria di chi non c’è più. “Andare avanti” non vuol dire cancellare, ma integrare la perdita nel proprio percorso, riconoscendo che il legame con la persona resta, anche se in una forma diversa. Ricordare può diventare una fonte di forza e di significato, non solo di dolore. Ogni storia di lutto contiene, accanto alla ferita, anche la possibilità di una trasformazione.
Non si tratta di “chiudere” una fase, ma di imparare a convivere con la mancanza come parte della propria umanità e, con il tempo, di riscoprire la capacità di sentire, amare e tornare alla vita.
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Ci sono modi per ricordare e onorare chi non c’è più?
Sì. Ricordare è una forma di continuità, non di chiusura.
Ognuno può trovare il proprio modo di onorare chi non c’è più, trasformando la mancanza in gesto, parola o presenza simbolica.
Può essere un’azione semplice, come dedicare una salita, una passeggiata, una giornata, o un gesto più intimo: scrivere una lettera, accendere una candela, custodire un oggetto, raccontare una storia.
I gesti simbolici aiutano a tenere vivo il legame in una forma nuova, senza rimanere imprigionati nel passato.
Ricordare è anche un atto di gratitudine: riconoscere ciò che quella persona ha lasciato in noi e portarlo, in modo consapevole, nel nostro cammino.
Come posso aiutarmi se non me la sento di parlare?
Non tutti riescono o vogliono parlare del proprio dolore, e va bene così.
Il silenzio può essere, per un certo tempo, uno spazio di protezione. L’importante è che non diventi isolamento.
Ci sono molti modi per prendersi cura di sé anche senza parole: camminare, respirare nella natura, scrivere, disegnare, ascoltare musica, prendersi del tempo per il corpo e per il riposo. Anche piccoli gesti quotidiani (come cucinare, stare con gli animali, osservare il paesaggio) possono restituire contatto con la vita.
Quando sarà il momento giusto, le parole arriveranno da sole, o in un contesto che faccia sentire al sicuro. Non serve forzare il racconto: la guarigione può cominciare anche nel silenzio.
Per chi accompagna
Stare accanto a chi ha subito una perdita è difficile. Spesso si teme di dire la cosa sbagliata o di peggiorare la sofferenza. Ma la presenza è più importante delle parole. A volte basta ascoltare, accettare il silenzio, o semplicemente esserci.
Chi accompagna può prendersi cura anche di sé, riconoscendo i propri limiti e il proprio dolore. Le sezioni del CAI possono diventare spazi di sostegno e di condivisione, in cui il lutto non viene nascosto ma accolto con rispetto.
Come essere presenti per chi soffre
Essere accanto a qualcuno che ha subito una perdita è una forma profonda di solidarietà, ma può anche far paura. Si teme di dire la cosa sbagliata, di ferire, di non essere all’altezza. Eppure, la presenza è più importante delle parole. A volte basta esserci: un messaggio, una visita, un silenzio condiviso.
Non c’è bisogno di trovare risposte o soluzioni. Il dolore non chiede di essere risolto, ma riconosciuto. Essere presenti significa stare vicino con rispetto, senza forzare, senza fuggire, accettando che la sofferenza dell’altro possa farci sentire impotenti. Chi accompagna non deve “salvare” l’altro, ma camminare accanto, anche solo per un tratto.

Il ruolo delle sezioni CAI nel supporto
Le comunità della montagna hanno un potenziale straordinario nel trasformare il dolore in legame. Le sezioni del CAI, i gruppi sportivi e i collettivi di alpinisti possono diventare luoghi di sostegno e di ascolto, dove la perdita non viene nascosta ma accolta con rispetto.
Creare momenti di incontro, commemorazioni, spazi di parola o semplici giornate insieme può aiutare chi soffre a non sentirsi solo. In questi contesti, il lutto smette di essere un’esperienza privata e diventa parte di una memoria collettiva: una cordata che continua, anche nel ricordo.
Supporto ai testimoni di incidenti
Anche chi interviene durante o dopo un incidente in montagna può restare profondamente segnato. I testimoni, i compagni di cordata o chi ha vissuto la scena dell’incidente vivono spesso traumi invisibili, fatti di immagini difficili da dimenticare, di impotenza o di senso di colpa. È fondamentale riconoscere che anche loro hanno bisogno di ascolto e di spazi dedicati.
Chiedere aiuto non è un segno di fragilità ma di responsabilità: prendersi cura di sé è parte del prendersi cura degli altri. Promuovere, all’interno delle sezioni o delle organizzazioni di soccorso, momenti di confronto, formazione e sostegno psicologico è un modo per garantire la salute di chi, in montagna, si prende cura della vita altrui.
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Come posso aiutare un amico che ha perso il compagno di cordata?
La cosa più importante è esserci.
Non servono grandi discorsi: ascolta, lascia spazio, accompagna nei momenti pratici e quotidiani. Evita di forzarlo a parlare o a tornare subito in montagna: ogni persona ha i propri tempi. A volte un gesto semplice (come un messaggio, una visita, un invito a camminare insieme) vale più di molte parole.
Il dolore condiviso diventa più sopportabile: far sentire la propria presenza è già un atto di cura.
E se non so cosa dire?
Può sembrare paradossale, ma non sapere cosa dire è un buon punto di partenza: significa che stai rispettando la complessità del dolore.
Non serve “riempire” il silenzio. Dire semplicemente “non so cosa dire, ma ci sono” è un modo onesto e umano di stare accanto. A volte, l’ascolto silenzioso, uno sguardo o un gesto gentile valgono più di qualsiasi frase di circostanza.
La presenza sincera è più curativa delle parole perfette.
Cosa fare quando il dolore di chi soffre mi spaventa?
È normale sentirsi a disagio di fronte al dolore profondo: ci mette in contatto con la nostra vulnerabilità e con le nostre paure.
Se ti senti sopraffatto, riconoscilo e prenditi cura anche di te stesso. Non puoi aiutare davvero se ti esaurisci nel tentativo di sostenere l’altro.
Puoi parlare del tuo disagio, chiedere supporto a un gruppo, a un amico o a un professionista. L’aiuto reciproco non significa caricarsi del dolore altrui, ma creare una rete di presenza e ascolto in cui nessuno sia solo.
Quando chiedere aiuto
Chiedere aiuto non è un segno di fragilità, ma un atto di responsabilità verso sé stessi e verso chi ci è accanto. Dopo una perdita o un trauma, è normale attraversare momenti di dolore, confusione o rabbia. Ma se il malessere si prolunga, se il corpo e la mente sembrano bloccati, se la vita quotidiana diventa troppo faticosa, parlare con qualcuno può fare la differenza.
Uno psicologo o una psicoterapeuta possono aiutare a comprendere cosa sta accadendo e a ritrovare strumenti per affrontarlo. Anche i gruppi di mutuo aiuto, le reti comunitarie e le sezioni del CAI possono essere spazi di ascolto e vicinanza, dove il dolore non resta isolato ma trova una voce condivisa. La cura è un cammino: non lineare, non immediato, ma possibile, passo dopo passo.
Segnali che indicano la necessità di un supporto professionale
Ci sono momenti in cui il dolore richiede una presenza in più. Può essere utile chiedere aiuto se:
- il dolore non diminuisce col tempo o sembra aumentare;
- ci si sente costantemente in colpa, in allarme o senza speranza;
- compaiono insonnia, flashback, immagini intrusive o incubi ricorrenti;
- si tende a evitare persone, luoghi o attività legate alla perdita;
- ci si isola completamente o si ricorre a comportamenti di fuga (alcol, iperattività, rischio);
- si inizia a fare uso di sostanze;
- si notano dei cambiamenti repentini nelle proprie condotte;
- si avverte il corpo “teso” o “bloccato”, anche in assenza di pericolo.
Questi segnali non indicano debolezza, ma il bisogno di uno spazio sicuro in cui elaborare e integrare l’esperienza.
A chi rivolgersi (psicologo, psicoterapeuta, centri di salute mentale, gruppi di mutuo aiuto)
Il primo passo può essere semplice: parlarne con un professionista della salute mentale, come uno psicologo o una psicoterapeuta. Non serve sapere esattamente “di che tipo di aiuto si ha bisogno”: il compito dello specialista è proprio quello di accompagnare nella comprensione del proprio vissuto.
Tuttavia, per lutti di questo tipo, è normale cercare un terapeuta che abbia esperienza con il mondo della frequentazione della montagna e dell’alpinismo, e per questo motivo, nel progetto “Oltre la vetta”, stiamo creando una rete di psicologi e psicoterapeuti con esperienza nell’ambiente montano e nel trattare questo genere di perdite.
L’importanza della prevenzione e della cura nel tempo
La salute mentale non riguarda solo la malattia o la crisi, ma anche la cura quotidiana del proprio equilibrio interiore. Prendersi cura di sé, nel corpo, nelle relazioni, nel ritmo della vita, è una forma di prevenzione che riduce il rischio di blocchi o ricadute dopo un lutto o un trauma.
Il dolore non scompare del tutto, ma con il tempo può trasformarsi in memoria viva, in consapevolezza, in risorsa. Cercare aiuto non è “l’ultima risorsa”: è una scelta di continuità con la vita.
Forse ti stai facendo queste domande
Come capire se è il momento di chiedere aiuto?
Se il dolore non si attenua, se ti senti svuotato, confuso o la sofferenza occupa tutto lo spazio della giornata, è il momento giusto.
Non serve aspettare di “toccare il fondo”: chiedere aiuto prima che il disagio diventi troppo grande è un atto di cura verso di sé.
Quando il dolore diventa solitudine o immobilità, parlarne è già parte della guarigione.
Come trovare uno psicologo che conosca il mondo della montagna?
Non tutti i terapeuti conoscono l’ambiente alpinistico, ma sempre più professionisti lavorano con chi vive la montagna.
La rete di Oltre la vetta nasce proprio per questo: mettere in contatto chi cerca aiuto con psicologi e psicoterapeuti che comprendono la cultura, i legami e i rischi della vita in quota.
Puoi consultare la directory sul sito o chiedere consiglio alla tua sezione CAI.
Come funziona un percorso terapeutico?
Nei servizi pubblici (ASL, centri di salute mentale) i colloqui possono essere gratuiti o con ticket ridotto; nel privato, le tariffe variano, ma molti professionisti offrono percorsi brevi o agevolati.
Le sedute durano in genere 45–60 minuti, con cadenza settimanale o quindicinale.
Non c’è un numero “giusto” di incontri: la durata dipende dal bisogno e dall’obiettivo, che è sempre quello di ritrovare equilibrio e autonomia.
Vado da uno psicoterapeuta o da uno psichiatra?
Lo psicoterapeuta ti accompagna attraverso il dialogo e la relazione, aiutandoti a comprendere e trasformare ciò che provi.
Lo psichiatra è un medico: può prescrivere farmaci e si occupa soprattutto dei sintomi intensi o persistenti, come ansia, insonnia o depressione profonda.
Spesso le due figure collaborano: il farmaco aiuta a gestire i sintomi, la terapia aiuta a elaborarli.
Non serve sapere subito da chi cominciare: un bravo professionista saprà orientarti.
Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112.
Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 tutti i giorni dalle 9 alle 24, oppure via WhatsApp dalle 18 alle 21 al 324 0117252. Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.