Il percorso di guarigione

Riconoscere il trauma è il primo passo. Con il tempo e con il giusto supporto, è possibile integrare l’esperienza, ridare un senso al vissuto e recuperare la sicurezza, anche nel rapporto con la montagna.

Come reagisce il cervello allo shock

Di fronte a un evento traumatico, il cervello entra in modalità di sopravvivenza.

Nei giorni o nelle settimane successive a un evento luttuoso, possono comparire disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, irritabilità, ansia, perdita di appetito o senso di irrealtà. Queste reazioni sono spesso temporanee e rappresentano un tentativo del corpo di adattarsi. Quando però i sintomi persistono per mesi o iniziano a interferire con la vita quotidiana, può trattarsi di forme di disagio che richiedono attenzione professionale.

A lungo termine, il lutto non elaborato può influenzare la memoria, la fiducia nelle relazioni, la percezione del rischio e perfino il modo in cui ci si rapporta agli ambienti naturali. In contesti come quello alpinistico, può modificare il rapporto con la montagna: alcuni si allontanano, altri vi tornano troppo presto. Entrambe le reazioni sono comprensibili. Il processo di guarigione consiste nel riconnettersi alla sicurezza, dentro e fuori di sé. Con il tempo, è possibile ricostruire una narrazione che includa l’evento, senza esserne più dominati.

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© Giorgio Tidei

Perché continuo a rivivere l’incidente nella mia testa?

Rivivere l’incidente, attraverso immagini, pensieri, sogni o sensazioni fisiche improvvise, è una reazione comune dopo un trauma.

Il cervello, quando vive un evento troppo intenso, non riesce a “archiviarlo” come un ricordo passato: resta come se fosse ancora presente, pronto a riemergere. È un modo in cui la mente tenta di elaborare ciò che è successo, ma che può diventare molto doloroso.

Questi ricordi intrusivi non significano che stai “impazzendo” o che non riesci a lasciar andare: indicano che il corpo e la mente stanno ancora cercando sicurezza.

E’ possibile imparare a riconoscere e gestire questi momenti, fino a trasformarli in un ricordo integrato, qualcosa che fa parte della tua storia, ma che non domina più il presente.
Posso essere traumatizzato anche se non ero presente all’incidente?

Sì. Il trauma non dipende solo dall’essere stati fisicamente presenti.

Chi perde una persona cara in montagna, anche se non era con lei al momento dell’incidente, può vivere un trauma vicario: un dolore e una sofferenza intensi legati all’immaginazione di ciò che è successo, al senso di colpa o all’identificazione con chi è stato coinvolto. Le immagini e i pensieri possono diventare vividi come se si fosse stati lì.

È il modo in cui la mente tenta di ricostruire un evento incomprensibile.

Anche i soccorritori, o chi ascolta ripetutamente racconti di incidenti, possono sviluppare forme di trauma indiretto o cumulativo. Il dolore è reale, anche se non si è stati presenti fisicamente: merita ascolto e cura allo stesso modo.

È normale provare paura o ansia a tornare in montagna?

Sì, è una reazione del tutto normale.

Dopo un’esperienza traumatica, il corpo associa il luogo o l’attività in cui è avvenuto l’incidente al pericolo. Ritornare in montagna può risvegliare ricordi, immagini, o una sensazione di allarme. Non è un segno di debolezza: è il modo in cui il cervello cerca di proteggerti.

La paura può diminuire gradualmente, con i propri tempi. A volte serve cambiare luogo, compagnia o ritmo, altre volte è utile parlarne con uno psicologo che conosca il mondo dell’alpinismo e possa accompagnare nel percorso di riavvicinamento.

Ritornare in montagna, quando e se ci si sente pronti, può diventare un gesto di riconciliazione, non di negazione del dolore. È un modo per trasformare la paura in presenza, passo dopo passo.

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