Reazioni, emozioni e segnali da riconoscere

Dopo una perdita o un trauma, è comune provare rabbia, colpa, paura, vuoto, difficoltà a dormire o a concentrarsi. Alcune persone si chiudono, altre cercano di andare avanti come se nulla fosse. Tutte queste reazioni sono modi, più o meno consapevoli, per tentare di gestire il dolore. Quando però il malessere persiste, si amplifica o inizia a interferire con la vita quotidiana, può essere il segnale che serve un aiuto. Riconoscere questi segnali, e chiedere sostegno, è un atto di cura, non di debolezza.

Anche chi sta accanto a chi soffre può sentirsi smarrito: non serve avere le parole giuste, ma esserci, ascoltare, accompagnare nel rispetto dei tempi dell’altro.

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Emozioni tipiche: rabbia, senso di colpa, paura, vuoto


Dopo un lutto o un trauma, le emozioni possono essere molte e contraddittorie.

Ci si può sentire arrabbiati – con sé stessi, con chi è scomparso, con la montagna o con il destino. La rabbia è spesso la forma che prende il dolore quando non riesce ancora a mostrarsi per quello che è.
Altre volte emerge un profondo senso di colpa, come se si fosse potuto fare qualcosa di diverso o come se non si avesse il diritto di stare ancora bene.
La paura è un’altra emozione comune: paura di rivivere l’evento, di affrontare di nuovo la montagna, di non riuscire più a fidarsi della vita.
E poi c’è il vuoto, un silenzio interiore, difficile da spiegare, che può far sentire scollegati da tutto.

Tutte queste emozioni, per quanto dolorose, sono reazioni normali a un evento anormale. Riconoscerle non significa alimentarle, ma dare loro spazio per trasformarsi.

Manifestazioni fisiche e comportamentali


Il corpo reagisce al dolore tanto quanto la mente.

Il lutto e il trauma possono manifestarsi con insonnia, stanchezza, tensione muscolare, tachicardia, difficoltà di concentrazione, perdita o aumento dell’appetito.
Anche il comportamento può cambiare: c’è chi cerca di riempire ogni momento per non pensare, e chi invece si isola, senza più interesse per ciò che prima contava.

Queste reazioni non sono “patologiche” in sé: rappresentano tentativi del corpo di ritrovare un equilibrio in una situazione di perdita di controllo.  Ma quando persistono troppo a lungo o iniziano a compromettere la vita quotidiana, possono essere segnali che indicano il bisogno di aiuto.

Strategie di evitamento e chiusura

Evitare ciò che fa male è un meccanismo di difesa naturale. Molte persone, dopo un lutto o un trauma, cercano di non parlare dell’accaduto, di evitare luoghi o situazioni che lo ricordano, o di tornare subito alla normalità per non “fermare tutto”. Nel breve periodo, queste strategie possono proteggere. Ma se diventano un modo costante di vivere, rischiano di bloccare l’elaborazione del dolore. Chi si chiude, spesso non lo fa per mancanza di volontà, ma perché teme che parlare o ricordare possa far crollare un fragile equilibrio.

La guarigione, però, nasce proprio dal poter nominare ciò che è successo, anche poco alla volta, anche con fatica. A volte basta trovare la persona giusta con cui farlo.

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© Giorgio Tidei

Mi sento distante da tutti: è una fase o un problema?

Dopo una perdita o un trauma è normale sentirsi distanti dagli altri, anche da chi si ama. Il dolore può chiudere in sé, come se il mondo esterno non avesse più lo stesso significato o come se gli altri non potessero capire davvero. A volte è il corpo stesso che “stacca la spina” per proteggersi, riducendo le emozioni o il desiderio di contatto.

Questa distanza può essere una fase temporanea del processo di elaborazione: un modo per rallentare e ritrovare spazio dentro di sé.

Se però la sensazione di isolamento dura a lungo, se cresce la solitudine o si fa difficile anche la vita quotidiana, può essere il momento di cercare un aiuto. Parlare con un professionista permette di ricostruire un ponte tra sé e gli altri, restituendo al legame umano il suo potere di cura.
Come posso sostenere qualcuno che ha subito una perdita in montagna?

Essere vicini a chi ha subito una perdita è un gesto prezioso, ma anche difficile. Non servono parole perfette: spesso la cosa più importante è esserci, in modo autentico e rispettoso. Ascoltare senza giudicare, accettare i silenzi, offrire presenza senza invadere.

Può essere utile evitare frasi come “so come ti senti” o “devi essere forte”: anche se dette con buone intenzioni, rischiano di chiudere invece che aprire.

Meglio dire: “Non so cosa dire, ma ci sono” e mantenere la promessa. A volte, il sostegno non è fatto solo di parole, ma di gesti semplici: preparare un pasto, accompagnare a un appuntamento, condividere una passeggiata.

Essere accanto, con discrezione e continuità, aiuta la persona in lutto a non sentirsi sola nel silenzio della perdita.

Come affrontare le reazioni diverse tra i membri di un gruppo o di una famiglia?

Ogni persona elabora il dolore in modo diverso. In uno stesso gruppo o famiglia, qualcuno può piangere molto, altri sembrare freddi o razionali, altri ancora voler tornare subito in montagna. Queste differenze non significano che qualcuno soffra “di più” o “di meno”: esprimono modi diversi di proteggersi.

Spesso, ciò che crea tensione non è la differenza di emozioni, ma la difficoltà di accettarla.

Parlare apertamente di come ciascuno sta, senza giudizio, può aiutare a riconoscere che ogni reazione ha un senso. In certi momenti può essere utile anche un sostegno esterno, un terapeuta familiare o un facilitatore, che aiuti a ritrovare uno spazio comune di ascolto.

Nel lutto, come in montagna, non tutti camminano con lo stesso passo, ma è possibile restare insieme sullo stesso sentiero.

Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112.
Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 tutti i giorni dalle 9 alle 24, oppure via WhatsApp dalle 18 alle 21 al 324 0117252. Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.