Comprendere il lutto

Il lutto è una risposta naturale alla perdita. È un processo che tocca il corpo, le emozioni e il pensiero, e che non segue regole fisse o tempi uguali per tutti. Elaborare un lutto non significa dimenticare, ma trovare un modo nuovo di stare in relazione con ciò o con chi non c’è più.

Le persone che vivono una perdita in montagna sperimentano spesso emozioni intense e contraddittorie: dolore, colpa, incredulità, ma anche la necessità di continuare a vivere ciò che amavano. Il lutto, in questo contesto, riguarda non solo l’individuo ma anche la comunità alpinistica, che condivide il rischio e il legame profondo con l’ambiente.

È normale sentirsi disorientati, non provare subito emozioni o avvertire un senso di sospensione. Ogni reazione ha un significato: è una risposta umana a qualcosa di troppo grande per essere compreso tutto insieme.

Cos’è il lutto: differenze tra perdita, dolore e elaborazione

Il lutto è la risposta naturale e profonda che accompagna ogni perdita significativa. Non riguarda solo la scomparsa di una persona cara: può manifestarsi anche quando cambia qualcosa che dava senso o identità – un luogo, un gruppo, un modo di vivere. La perdita è l’evento; il dolore è la risposta emotiva e fisica immediata; l’elaborazione è il percorso, spesso lungo e non lineare, che ci permette di integrare questa esperienza nella nostra vita.

Elaborare non significa “superare” o “lasciare andare”, ma trovare un nuovo modo di stare in relazione con ciò o con chi non c’è più. È un processo che richiede tempo, ascolto e, soprattutto, la possibilità di essere condiviso con chi può comprendere senza giudicare.

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Le fasi del lutto (le principali teorie)


Nel corso del tempo, diversi modelli hanno provato a descrivere il percorso del lutto. Uno dei più noti è quello di Elisabeth Kübler-Ross, che individua cinque fasi: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. Non si tratta di tappe rigide né di un ordine obbligato: spesso le persone oscillano tra una fase e l’altra, o ne vivono più di una insieme. Altri modelli parlano di onde, compiti o movimenti del lutto, per sottolineare la sua natura fluida e individuale.

Qualunque sia la teoria di riferimento, il messaggio centrale è uno: non esiste un modo giusto o sbagliato di attraversare il dolore. Ognuno trova il proprio ritmo, e ogni emozione ha un senso nel processo di adattamento alla perdita.

Tipi di lutto: improvviso, traumatico, anticipatorio, collettivo


Non tutti i lutti sono uguali.

Un lutto improvviso, come quello che segue a un incidente in montagna, arriva senza preavviso e può lasciare chi resta in uno stato di shock o incredulità.
Il lutto traumatico è quello in cui la modalità della perdita (violenta, pubblica, potenzialmente evitabile) amplifica il dolore e complica l’elaborazione.
Il lutto anticipatorio accompagna situazioni in cui la perdita è attesa (una malattia, una separazione, un ritiro forzato da un’attività amata) e può generare ansia o senso di impotenza.
Infine, il lutto collettivo è quello vissuto da una comunità, come accade spesso nel mondo dell’alpinismo, dove la perdita di una persona tocca intere reti di amicizia, sezioni, gruppi di cordata.

Riconoscere la natura del proprio lutto aiuta a dare un nome alle emozioni e a cercare il tipo di sostegno più adatto.

Lutto e corpo: psicosomatica del dolore

Il lutto non vive solo nella mente. Il corpo reagisce al dolore con segnali concreti: stanchezza, tensione muscolare, insonnia, perdita o aumento dell’appetito, senso di vuoto o costrizione al petto. Sono reazioni fisiologiche a uno stress emotivo intenso, e rappresentano un modo con cui l’organismo tenta di adattarsi all’assenza. A volte il corpo “parla” prima della mente: riconoscere questi segnali aiuta a capire che il dolore è reale, anche quando non trova parole. Prendersi cura del corpo, con il movimento, il respiro, la presenza nella natura, può diventare una via per accogliere e trasformare la sofferenza, lentamente, in una forma di equilibrio nuovo.

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© Giulia Filippin

“È normale non sentire nulla
dopo una perdita?“

Sì. Dopo una perdita, mente e corpo possono “congelarsi” per proteggersi.

È una reazione naturale: si funziona quasi in automatico, ma dentro tutto resta sospeso.

Non significa che non si soffra, solo che non si è ancora pronti a sentire tutto insieme. Le emozioni torneranno gradualmente, a volte quando meno te lo aspetti.

Concediti tempo e non giudicarti.
“Perché mi sento in colpa per essere ancora vivo?”

Il senso di colpa è una delle emozioni più frequenti e difficili dopo un lutto traumatico, soprattutto quando la perdita avviene in un contesto condiviso come la montagna.

Ci si chiede: “Perché lui e non io?”, “Avrei potuto fare qualcosa di diverso?”, “Ho diritto di tornare a stare bene?”.

Queste domande nascono dal bisogno di trovare un senso all’insensato e di ristabilire un ordine in qualcosa che appare incomprensibile. Col tempo, e spesso con l’aiuto di un professionista, si può imparare a distinguere la responsabilità reale da quella simbolica: non siamo colpevoli per essere vivi.

Anzi, vivere può diventare una forma di testimonianza e di legame, un modo per portare con sé la memoria di chi non c’è più.

“Quanto tempo dura un lutto?”

Non esiste un tempo “giusto” per il lutto.

Ogni persona ha un ritmo proprio, che dipende dalla storia, dal tipo di legame, dalle circostanze della perdita e dal supporto che riceve. Per alcune persone il dolore resta intenso per mesi, per altre riaffiora a ondate nel corso degli anni.

Non c’è una scadenza, ma un percorso di trasformazione.

Un lutto non “passa”: diventa parte della propria vita in modo diverso.

Quando la sofferenza resta troppo forte, bloccante o isolante, può essere utile cercare un aiuto professionale, non per cancellarla, ma per imparare a conviverci e ritrovare spazio per sé.
“Come posso affrontare il ritorno in montagna dopo una perdita?”

Tornare in montagna dopo un incidente o una perdita può riattivare emozioni intense: paura, tristezza, nostalgia, ma anche desiderio di ritrovare un senso di normalità.

Non esiste un momento giusto per farlo.

È importante ascoltarsi: capire se il ritorno nasce da un bisogno di riconnessione o da una pressione (esterna o interna) a “riprendere come prima”.

Si può cominciare per gradi: scegliere luoghi diversi, cambiare compagni, fermarsi quando serve. Per alcuni, la montagna resta un luogo di cura; per altri, per un po’ di tempo, può essere troppo. Entrambe le cose sono legittime.

Affrontare il ritorno, da soli o con un sostegno psicologico, può diventare un passo nel percorso di elaborazione, un modo per restare in relazione con ciò che si è vissuto, ma da una prospettiva nuova.

Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112.
Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 tutti i giorni dalle 9 alle 24, oppure via WhatsApp dalle 18 alle 21 al 324 0117252. Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.