Sono nati tra il 1996 e il 2012, uno per regione d’Italia, e sono oggi ventidue. Sono i sentieri dedicati dal Club Alpino Italiano al beato Piergiorgio Frassati, morto il 4 Luglio di cento anni fa. A ventiquattro anni, dopo un vita breve ma dedicata intensamente a testimoniare l’amore per il prossimo. E soprattutto l’amore verso gli ultimi, che in quel tempo erano larga maggioranza. Amava la montagna e per questo il Club Alpino Italiano lo annovera tra i suoi Soci. Ieri ho percorso il sentiero Frassati della Calabria, che parte dalla Certosa di Serra San Bruno, raggiunge Mongiana, e fa ritorno alla Certosa. Uno dei primi, nato nel 1998, grazie all’impegno del CAI, del Corpo Forestale dello Stato, dell’AGESCI. Un percorso assai lungo, mediamente impegnativo, per nulla banale. Non era la prima volta, eppure rimarrà impresso nel mio profondo. Alla partenza abbiamo trovato ad attenderci Dom Ignazio, priore della Certosa. Ha dato la sua benedizione, dopo averci ricordato che un cammino non è solo un atto fisico, ma anche un’esperienza spirituale. Nella quale ci misuriamo con le nostre fragilità, e tra queste la fatica. Poche parole, che insieme alla sua benedizione, mi hanno profondamente commosso. E accompagnato per otto ore e ventidue chilometri, e per un tratto sotto la pioggia battente. Cammino da decenni, e avrei voluto camminare di più. Non me l’ha consentito il lavoro, che mi ha occupato direttamente e indirettamente per ventiquattro ore al giorno. Non me l’ha consentito la famiglia, in vetta alle mie priorità. E tanto basta. Tuttavia con il tempo ho compreso perché cammino in montagna, quando mi è possibile. E’ un’esigenza dello spirito. E come tale da amministrare con parsimonia, senza cadere nella dipendenza dal gesto atletico e nella compulsione a raggiungere una cima, una meta, letteralmente ad ogni piè sospinto. Rimanda alla etimologia di escursione, ex currere, correre fuori. Uscire dalla quotidianità e dai suoi condizionamenti anestetizzanti. Lasciare le vie sicure e ben segnalate. Avventurarsi laddove nessuno passa, perché non è necessario. Levar via la polvere che ricopre la superficie della nostra vita. Tra cielo e terra puoi lasciare affiorare sentimenti e riflessioni. Puoi misurarti, come saggiamente ha detto Dom Ignazio, con fragilità e insicurezze. Poi fai rapidamente ritorno a casa, forse cambiato. Perché ti sei ri-conosciuto, perché hai attinto a risorse sopite, perché qualcosa è divenuta più chiara. E se non hai camminato da solo, qualche aiuto è venuto dalla condivisione dei propri passi con i passi altrui. Dalla condivisione delle difficoltà. Da una momentanea situazione di parità, in cui vengono meno titoli e prebende, e ci accomuna un obiettivo. Sicchè la vera meta del cammino è, per chi lo comprende, aver dato un’occhiata dentro noi stessi, in un raro momento di libertà dello spirito. Leggere non solo il paesaggio, ma comprendere che le sue forme e i suoi colori sono metafora del nostro animo. Del nostro paesaggio interiore. Della complessità dei nostri sentimenti. Il cammino per monti, attraverso la fatica, talvolta la sofferenza, può riorientare quei sentimenti. Può divenire esperienza dello spirito, riducendo la distanza tra il quotidiano e i valori profondi ai quali ambire. E’ pomeriggio pieno quando mi lascio alle spalle i boschi tra Mongiana e Serra San Bruno e davanti a me si allineano i torrioni dei muri di cinta della Certosa, con la statua di San Michele che si staglia contro il cielo. E’ stato faticoso, e la fatica mi ha avvicinato a me stesso. Grazie Dom Ignazio, per le sue preziose parole.
Piergiorgio Iannaccaro – Presidente Cai Catanzaro


