Ieri sera nella sede del Club Alpino Italiano di Catanzaro per parlare di “Non chiamatelo out-door. La montagna come ricerca”. Non molti sanno che il Club Alpino Italiano a Catanzaro fu fondato nel lontano 1878, pochi anni dopo la storica ascensione sul Monviso di Quintino Sella e di Giovanni Barracco (parlamentare e collezionista d’arte calabrese) che avvenne nel 1863, dalla quale nacque il CAI.
Fu poi ri-fondata nel 1991 (fui fra i soci fondatori). Nel corso della serata abbiamo conversato sull’andare in montagna “all’epoca della sua riproducibilità tecnica”, potremmo dire pararafrasando Walter Benjaimin. Abbiamo detto, fra molto altro, come urge che associazioni e guide aiutino i nuovi fruitori delle montagne, figli della cultura di massa, del consumismo e virtualità del web e dei social-media, a prendere coscienza del rischio di snaturare l’approccio ad un ambiente così bello ma anche così fragile. Perché si possa arginare la fruizione meramente ludica, atletica ed estetica delle montagne aiutando luoghi, paesaggi e comunità a realizzare loro stessi, direbbe Jung, e non ad essere travolti e cancellati da una modernità fraintesa.
Francesco Bevilacqua – scrittore e cercatore di luoghi perduti
